«Sul mio atteggiamento verso il fascismo molte son le leggende e poche le letture. Il fascismo durò circa trent’anni fra incubazione, esplosione, conflagrazione, estinzione. Modificai il mio atteggiamento a seconda di queste vicende. Ma non in vista di appetiti sociali o finanziari, come accadde a molti. Ero meglio informato di moltissimi italiani. Vivevo all’estero, oltre gli americani leggevo giornali italiani, e periodici antifascisti di Parigi. Però non credevo molto né a quelli né a questi. C’erano silenzi e bugie, cecità e fantasie da ambo le parti. Passavo le vacanze in Italia e parlavo in confidenza con pochi amici fascisti e antifascisti fidati. Visitavo Croce e Mussolini. Non è il caso di seguire le mie previsioni. Non sempre sarò stato indovino come quando nel 1920 dissi a Gobetti, quasi col cronometro, che il fascismo sarebbe durato venticinque anni.
Ci son due punti sui quali voglio fare il punto.
Il primo è la guerra d’Etiopia.
Fu il culmine del fascismo. Persino molti antifascisti si commossero per le sanzioni. Molte loro spose regalarono gli anelli alla patria. A me l’impresa non piaceva. La conquista dell’Etiopia aumentava il numero di sassi che si dovevano raccattare per poter coltivare quelle terre; e poi una colonia separata dal mare e da Paesi nemici non si sarebbe potuta difendere, come accadde infatti, nonostante il valore delle truppe e del Duca d’Aosta. Ma mi stizzivano le lezioni di morale di inglesi, americani e francesi. Avevano commesso, anche recentemente, le stesse rapine e ne stavano godendo la gloria ed i benefici, senza pensare un momenti di restituire le terre rubate, secondo le loro idee umanitarie e democratiche, ai popoli ai quali le avevano portate via.
Il secondo punto è il giudizio storico sul fascismo.
Sono stato uno dei primi a considerare il fascismo come un fenomeno naturale che ha avuto ragioni profonde e uno svolgimento che rientra nei limiti della storia di tutti i tempi. Non va giudicato da un punto di vista morale. Il fascismo è un fenomeno degno di attenzione come il comunismo. In Italia ci fu un tentativo di rinnovare un Paese scosso dalla guerra, e farlo più orgoglioso, più energico, più virile, più avventuroso, e introdurlo nel gioco delle grandi potenze; Mussolini sbagliò l’ultima carta nel calcolare il nemico e anche la capacità del popolo italiano, e portò alla sconfitta e al disastro. In Russia ci fu dopo la guerra perduta una rivoluzione che voleva presentare al mondo una nuova civiltà, in cui gli uomini non sarebbero stati più sfruttati, avrebbero goduto il benessere, la giustizia, l’affratellamento; ma dopo aver distrutto l’aristocrazia e aver ucciso alcuni milioni di “coltivatori diretti”, la popolazione viene sfruttata da una burocrazia lenta e incapace a dirigere l’economia in modo soddisfacente, le spese militari sono le più alte del mondo, le truppe sono impiegate nel reprimere un altro Paese amico che vuole cambiar di governo, oppure ammassate ai confini di un altro Paese comunista. Non so perché si voglia fare una differenza morale fra i due. Ambedue i sistemi hanno usato sistemi simili di illusione, di repressione, di eccitamento, di crudeltà, di ragion di Stato che furon usati per secoli, salvo che in proporzioni maggiori di quelle dei tempi passati. Dunque studiamo questi fenomeni per quello che furono, senza far differenza fra i due.
Oggi c’è una tendenza generale a considerare il fascismo con occhio da storico ed a questa tendenza dirò che io mi attenni anche prima che esso avesse compiuto il suo corso e appartenesse al cimitero dei tentativi di dare alla nazione un’organizzazione capace di conservare nella lotta l’indipendenza e i propri caratteri nazionali. Il fascismo poté vantarsi di essere idea italiana che trovò imitatori in altri Paesi, e parve, per un certo tempo, soddisfare i bisogni di alcuni Paesi europei e cercare una via di mezzo tra il comunismo e l’economia liberale. Da questo punto di vista il fascismo corrispondeva ad uno sviluppo generale verificatosi in tutto il mondo, caratterizzato dall’espandersi delle funzioni economiche dello Stato. Gli episodi di soppressione della libertà individuale, l’arricchimento dei capi, la corruzione pubblica e la crudeltà politica che resero odioso il fascismo non erano che avvenimenti superficiali, in nessun modo nuovi nella vita italiana, ma capaci di oscurare la realtà che aveva dato origine all’esperimento fascista.
Il fascismo fu un movimento sociale e politico di notevole importanza, se poté durare ventidue anni. Non poté sorgere senza ragioni profonde, del resto facili a vedersi. Infatti, esso fu principalmente la conseguenza di una guerra, non voluta dalla maggioranza della popolazione, imposta ad essa da piccoli gruppi e da una circostanza di politica estera che non interessava profondamente la popolazione italiana. Tale guerra portò uno sconquasso nelle istituzioni liberali, che erano state appiccicate al Paese piuttosto che nate da esso. Ed in quel disordine una minoranza di veterani, di demi-solde, che erano stati abituati dalla guerra a comandare, a rischiare la vita ed a toglierla agli avversari, ebbe il sopravvento sopra timidi parlamentari, avvocati chiacchieroni, e organizzazioni operaie abituate alle transazioni ed agli scioperi politici, ma non alla lotta violenta.
Il fascismo fu una delle più italiane creazioni politiche che ci siano state. Poiché se guardiamo alla storia d’Italia, quali forme originali di Stato si trovano? Prima di tutto il Papato, universale monarchia in principio, ma storicamente in grande parte formata e nutrita da menti e volontà italiane, poi i Comuni, oligarchie cittadine mercantile, quindi le Signorie, dittature di fatto e bellicose che diventarono ereditarie e conservatrici col tempo, e poi si salta fino al fascismo, che venne imitato in parecchie parti del mondo. Esso fu concepito da italiani, fatto da italiani, tenuto in vita da italiani ed accettato, finalmente, con esaltazione ed apparente entusiasmo, dalla maggioranza degli italiani; i quali si adattarono ad alzare la mano in segno di saluto, a marciare col passo dell’oca, a radunarsi ad ore esatte gridando gli stessi motti, insomma a comportarsi come non si eran mai comportati “collettivamente” in nessuno dei momenti della loro storia, anche quando furono dominati da stranieri.
Il fascismo fu l’apice del Risorgimento italiano, ed anche l’ultimo atto del Risorgimento nazionale ed il più disperato tentativo, non riuscito, di dare unità ai popoli della penisola italiana costituendovi uno Stato forte. Il fallimento di questo tentativo, dovuto a forse estranee al Paese, ha condotto l’Italia a cercar di diventare una provincia dell’Europa, come unico mezzo di salvare e di far valere entro un organismo politico più forte ed ampio le qualità del suo popolo artistico, individualistico e abile; poiché l’alternativa sarebbe la sudditanza alla Russia.
Una cosa è ferma: si può dire molto male del fascismo e di Mussolini; ma chi ne dice male dovrebbe sempre ricordarsi che non avrebbero avuto il buon successo che ebbero per ventidue anni, se non avessero trovato l’appoggio, l’entusiasmo, le dedizioni, le imitazioni la complicità e il benestare, almeno a segni e parole, del popolo italiano. Il fascismo fu una situazione storica che il popolo italiano, salvo eccezioni, tutto quanto, plebe e magnati, clero e laici, esercito e università, capitale e provincia, industriali e commercianti e agricoltori fecero propria, nutrirono col proprio consenso ed applauso, e che, se fosse continuata, oggi essi continuerebbero ad applaudire e a sostenere.
Fascisti e antifascisti hanno collaborato alla rovina dello Stato italiano e si son dati la mano per distruggerlo. Il fascismo, col dichiarare la guerra, l’antifascismo facendo sapere agli alleati che l’Italia era disunita, e indicandola quindi come il punto più debole da attaccare. I fascisti consegnarono l’Italia alla Germania, gli antifascisti agli alleati; tutti insieme prepararono la schiavitù politica sotto lo straniero, che essi preferivano alla vittoria dell’avversario politico interno. Le distruzioni e le rapine sono per metà dei tedeschi e per metà degli alleati. I fascisti non capirono che la Germania non lavorava per il fascismo, ma per sé; e gli antifascisti non capirono che gli alleati non lavoravano per l’antifascismo, ma per se stessi.»